
Orfeo
Domenica. Freddo e pioggia. Sei della sera. Una fredda e piovosa domenica alle sei della sera. Novembre e Anna odia novembre. Annoiata, guida con gli occhi fissi sulla strada, mentre l’indice e il pollice della mano sinistra giocano con il lobo dell’orecchio, è la sua coperta di Linus, la tranquillizza.
Mentre tamburella nervosamente le dita sul volante, pensa: <<Non mi è mai stata simpatica la parte del rientro a casa, l’imbrunire, la fine del week end, la fine in generale>> e poi
<<Non sono brava con le conclusioni e non mi piacciono i cambiamenti, non so come nè quando dire basta, mettere un punto.>>
Per questo, mentre sta rientrando, già pensa a come organizzare cena e dopo cena, un cinema, una bevuta con le amiche, basta impegnare tempo e testa, possibilmente fuori. E poi le luci, le luci accese alle finestre, soprattutto nelle cucine, le danno un senso di malinconia, la opprimono e le scappa un pensiero a voce alta <<Ma come fa la gente a stare bene in casa?>>.
Sarà che non ne ha ancora una tutta sua e non ha ancora trovato il suo posto nel mondo, nè fuori nè dentro, ma proprio non ci riesce, ogni occasione, ogni scusa è buona per sgusciare via.
Poi, all’improvviso, il semaforo rosso ferma macchina e pensieri e una finestra, che e’ sempre stata li’, accesa, nel solito quartiere, nel solito palazzo, al solito piano, attira la sua attenzione per la prima volta.
<<Possibile che non ci abbia mai fatto caso>> esclama tra sé e sé <<No, aspetta, la domanda giusta è perchè ci sto facendo caso adesso? Eppure ha un’aria così familiare, la riconosco, mi pare quasi di averci vissuto. Ma no no no, cosa sto dicendo?>>
Scrolla leggermente la testa e le scappa un sorriso, proprio lì all’angolo destro della bocca, e sussulta un pò.
Dietro la tenda scorge un’ombra che si muove in modo nervoso, avanti e indietro, gesticolando, sembra che stia litigando, oppure parla al telefono, magari sta solo cantando.
Non riesce a non guardare, si fissa sulla luce che illumina la stanza, è in salotto, segue l’ombra avanti e indietro poi, aspetta, si ferma, si volta, si avvicina alla finestra e si affaccia.
Anna distoglie lo sguardo di scatto, come se avesse paura che si accorga di lei, del suo sguardo fisso e indagatore, della curiosità quasi morbosa che la fa stare ferma lì, dentro quella casa, dentro la vita di qualcun altro, senza essere stata invitata.
Ecco che con la coda dell’occhio scorge la tenda che si chiude di nuovo e così, come attratta da una calamita segreta, Anna si volta nuovamente a guardare. Cerca di capire dove sia e la sua mente comincia a immaginare il motivo del suo turbamento.
Giulia, Maria, Chiara, Elena, Eleonora. Capelli appena appoggiati sulle spalle, braccia forti, camicia lunga, da uomo probabilmente. Forse sta aspettando qualcuno? Forse qualcuno è appena andato via? Resta immobile, dietro la tenda, nella penombra di una stanza che si fa sempre più buia, la luce, ora, è solo quella di un’ abat jour. La donna si appoggia con la fronte e appanna il vetro con il fiato, ha l’aria disperata.
Anna resta lì, immobile nei suoi pensieri per un tempo indefinito, prova a raccontarsi la sua storia: ha un aspetto scontroso e orgoglioso, è sicura di sé, si intuisce da come si muove e dalla postura di collo e spalle.
<<Non ho mai avuto quella spavalderia>> pensa << né quella sicurezza.Non ho mai rivendicato il mio diritto di stare dove sto, al lavoro, in famiglia, in una storia…insomma di essere io, qui ed ora>>.
Deve essere una donna forte, ma qualcosa la fa vacillare, le sembra di sentire il battito alterato del suo cuore e il respiro affannato.
Dicono che per vivere bisogna respirare; Anna ha sempre vissuto con il fiato corto, la sua vita e’ stata una lunga apnea di situazioni sbagliate tra parentesi di felicità dove ha ripreso fiato.
E lei? Quella donna, perché non respira? Non vale la pena rinunciare ai propri polmoni, mai. Lo sta pensando proprio lei che non li ha più, che per ritrovarli si inventa ogni genere di espediente. Una giornata ventosa in riva al mare, una passeggiata in montagna, una boccata d’aria alla finestra aperta al settimo piano di un palazzo in centro e fa fatica, ogni volta, a chiudere gli occhi e a lasciare fluire i pensieri, che se si fermano allora si ferma anche il vento e il respiro si blocca.
Ma perché è così disperata? Senza un senso logico, le torna in mente un episodio che aveva rimosso. Un giorno, durante la visita in un museo una bambina di circa otto anni, di fronte al dolore scolpito in volto dal Canova nel suo Orfeo, chiedeva insistentemente alla sua mamma: <<Perché e’ cosi disperato, mamma? Perché è cosi disperato quest’uomo>>
La mamma non rispose, non sapeva che dire, o forse non voleva spiegare alla bambina che quell’uomo ha perso la sua Euridice per sempre, l’amore della sua vita, perché dopo aver sfidato mille avversità e tutti gli dei degli inferi non ha saputo attendere qualche minuto in più, prima di voltarsi, metafora di una vita che oggi va così, tutto e subito. Bruciamomilioni di opportunità perché sbagliamo costantemente i tempi, abbiamo troppa fretta. Fretta di crescere, di sperimentare, di arrivare e di passare oltre. E il tempo? Il tempo dell’attesa? Dove è finito il battito che ferma la corsa, che ci inchioda lì a sperare e a immaginare? Tutto diventa irrecuperabile, sterile, una sequenza di immagini viste dal finestrino di un treno troppo veloce. E allora è più facile distogliere lo sguardo e la felicità diventa un’utopia.
Forse quella mamma non ha saputo dire alla sua bambina: “Tesoro devi avere pazienza di aspettare per le cose belle, perché se sbagli i tempi, rischi di non avere un’altra occasione”. No, forse la mamma, non ha pensato tutte queste cose. Anna sì. Avrebbe voluto fermarla e spiegarle che quell’uomo è così disperato e si sente tanto stupido perché non ha avuto la lungimiranza di coltivare né di proteggere il suo amore, al di la’ del suo momentaneo egoismo, ma che questo, d’altra parte, non sminuisce di una sola virgola l’immensità del suo sentimento né il dolore per averlo perduto. Ma, in fin dei conti, Orfeo può essere se stesso, compiere il suo destino solo perdendo Euridice e se, ancora oggi, il suo mito e’ così potente, forse, ne e’ valsa davvero la pena di girarsi, anche solo un attimo, a guardare il suo viso.
Un clacson la riporta prepotentemente alla realtà.
<<Accidenti! Ma cosa sto farneticando? Sono forse impazzita? Cosa c’entrano quella donna, la bambina, la mamma, ho scomodato persino Orfeo>>.
Le scappa la frizione e la macchina si spegne, è scattato il verde.
L’uomo, alla guida della macchina dietro, ha fretta di rientrare casa e, in effetti, comincia ad essere tardi e chissà quante volte ha già girato il semaforo.
Anna è invasa da una vampata di calore e il suo cuore sembra voler scappare lontano da lei. I vetri sono completamente appannati. Panico.
<<Un attimo Anna, un attimo, respira, metti in moto, parti.>> sussurra a mezza voce.
Dallo specchietto retrovisore vede le mani del guidatore che si agitano e può solo immaginare le imprecazioni.
Prima di ingranare la marcia ha solo il tempo di voltarsi un’ultima volta verso la finestra, la luce è spenta, forse lo è sempre stata.
Le scappa un sorriso, proprio lì all’angolo destro della bocca, sussulta un po’.
Eli
[…] Orfeo […]
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bellissimo!
? bello, brava!
Brava !
😀
Brava!!! bel racconto
Bel racconto
complimenti! 😀
Bello!!!
Bel racconto. Brava !
Uau! Riflessivo… molto carino!
Veramente bello!