Warning: Undefined array key -1 in /customers/c/5/3/inpuntadipennablog.it/httpd.www/wp-includes/post-template.php on line 330 Portami via - In Punta di Penna Blog
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Portami via

Portami via

Finalmente sono a casa, infreddolito, un po’ bagnato, con le scarpe piene di fango. Mi aspetta la mia famiglia davanti al camino caldo. Finalmente sono di ritorno.

Il mio viaggio cominciò per necessità, non per gioco, uno sguardo fuori dalla finestra e la voglia di scoprire altri luoghi, la speranza di conoscere sempre di più e di vivere nuove esperienze. Misi qualche biscotto e un po’ d’acqua in un vecchio zaino trovato sotto al letto e partii. Non avevo idea di dove sarei finito, non potevo neanche lontanamente immaginare dove la sorte mi avrebbe portato. A lei chiedevo solo “portami via”. Era una mattina, il sole era appena sorto, dormivano ancora tutti. Aprii la porta di casa e mi voltai per dare uno sguardo al caldo salone e a quel camino nell’angolo davanti al quale avevo passato tante ore. Le braci della sera precedente emanavano ancora calore e profumavano ancora della grigliata che ci eravamo fatti tutti insieme.

Sapevo che sarei tornato, non era un addio quello.

Il sole che sorgeva mi accarezzava la pelle e l’aria frizzante del mattino mi diede quell’energia per compiere il primo passo.

Un treno era quello che ci voleva. Salii sul primo disponibile, un vecchio treno con vagoni rossi e gialli, ebbi il privilegio di trovarmi proprio sulla prima carrozza, vicino al conducente, un curioso omino in divisa con un binocolo al collo.

“Figliolo, te ne vai in giro tutto solo?”

“Si, voglio andare via, voglio viaggiare”

“E dove te ne vai?”

“Non lo so, voglio solo vedere posti nuovi, nuovi mondi, voglio un pianeta su cui ricominciare

“Bravo figliolo, è così che si fa. Usa la tua libertà, ci vuole coraggio per godersela. La tua famiglia lo sa che sei qui?”

“Lavorano sempre. Tornerò presto”

“Ho capito. Sai, figliolo, anch’io ero così una volta. A me non importava niente di quello che faceva la gente. Per me solo una cosa era importante. Ero sempre al lavoro, sempre di turno. Poi, vedi? Ora sono qui, lavoro mezza giornata e basta. Si, mezza giornata. Vedi, figliolo, non fumo, non ho l’amante e non mi interessano le belle macchine, mi basta avere il tempo per ciò che mi piace. Chi me lo fa fare di lavorare di più? Adesso stai seduto, attraversiamo una zona un po’ pericolosa”

Annuii. Il treno cominciò a sbandare e sbuffare. Passammo su un binario tra le rocce, poi su un ponte di cui si poteva sentire scricchiolare il legno. Guardai di sotto e mi sentii felice di stare a quell’altezza, sentivo di avere il cielo vicino, di passare sulla vita come un aeroplano. Fu un viaggio faticoso che tuttavia non mi risparmiò l’emozione di paesaggi mai visti.

Decisi di scendere dal treno e proseguire con altri mezzi. Fu un lungo camminare il mio, in quel pianeta sconosciuto per me, in quei luoghi in cui non ero mai stato, così diversi dal solito, il cielo un po’ più viola del normale, un po’ più caldo il sole, ma nell’aria un buon sapore.

Sapore e profumo di fiori, di erba, di acqua fresca. Ero fuori, da solo in quel mondo nuovo, eppure mi sentivo al sicuro, “l’universo è la mia fortezza!” pensavo. Avevo solo voglia di esplorare tutto ciò che mi circondava. Esplorare tutta la terra attorno a me, e dopo la terra il mare.

Mi imbattei in un lago la cui vista mi era offuscata dalla vegetazione ai lati della strada che stavo percorrendo. Passai attraverso gli arbusti e mi diressi verso l’acqua, attirato dal riflesso del sole su di essa. Davanti a me una distesa d’acqua calma, immobile. Dalla riva, attraverso i riflessi verdastri della superficie, potevo scorgere distintamente grandi pesci che nuotavano placidi sul fondale.

Fui pervaso da una sensazione di calma. Dovevo solo godermi il paesaggio, godermi il mio viaggio. Stavo scoprendo un nuovo mondo e volevo apprezzarne ogni sua minima sfumatura. Lanciai nel  lago qualche biscotto preso dal mio zaino. Alcuni di quei pesci salirono furtivamente a galla per raccogliere le briciole. Fu emozionante vederli avvicinarsi lentamente da sotto la superficie dell’acqua e poi, di scatto, afferrare il cibo e portarlo giù, verso il centro del lago, dove tutto si perdeva alla mia vista.

Il sole adesso era alto e scintillava sull’acqua, il cielo si rifletteva sul lago dando proprio l’impressione che le nuvole fossero lì, a far compagnia ai pesci.

Una distesa pietrosa interrompeva il prato intorno al lago. Incontrai, pochi metri più avanti, un uomo con una lunga barba bianca e un buffo cappello a punta mentre tagliava ciocchi di legna. Il cielo si stava annuvolando e perciò chiesi subito ospitalità. Parlammo per molto tempo davanti alla sua casa, un’abitazione di legno costruita su un albero di ulivo.

“Un viaggiatore, eh?” – mi disse – “non se ne vedono molti da queste parti e anche quelli che abitano qui vicino sono tutti indaffarati nelle loro faccende, nessuno si rende conto di che posto meraviglioso sia questo. Io vivo qui da…beh, non me lo ricordo da quanto ci vivo, ma ogni giorno ringrazio chi mi ci ha portato”.

Riuscii a trovare un’auto per proseguire il mio viaggio. Non avevo una destinazione, dovunque l’auto si fosse diretta, a me sarebbe andato bene. Per me era sufficiente esplorare. Qualche goccia di pioggia iniziò ad infrangersi sul parabrezza. Guardando fuori dai finestrini bagnati, alla luce soffusa di un sole velato dalle nuvole, scorsi campi coltivati, città, colline. C’erano mandrie di mucche e cavalli. In uno spiraglio fra le nubi, vidi il sole tramontare. La luce surreale che proiettò mostrò colori a me sconosciuti fino a quel momento.

Continuai a seguire il mio istinto e a vagare senza una meta precisa, dirigendomi solo dove sentivo di dover andare. La notte stava scendendo inesorabile. Le scarpe bagnate e infangate iniziarono a raffreddarsi velocemente. Avvertivo l’umidità salire dai piedi fino alla schiena con un brivido fin dentro le ossa. Adesso non c’era più nessun tramonto, nessuna carezza del sole sulla pelle, nessun treno, lago, prato.

Mi sentivo oppresso dal buio, senza nessun riferimento.

Solo.

Il treno, il lago, i prati, la strada. Il viaggio.

Era questo ciò che volevo. Il mio scopo é stato realizzato, e ora? Nonostante tutto mi sentivo ancora vuoto.

Realizzai che le mie paure non se ne erano andate, anzi ,che semmai erano aumentate. Dalla solitudine amplificate.

Cercai una via di fuga da quel buio, guardai a destra, a sinistra, non c’era niente. Solo il nero della notte. Arretrai, urtai qualcosa, un rumore assordante mi penetrò nelle orecchie, il cuore a mille, mi morsi un labbro, sentii le lacrime solcarmi il viso. Non c’era una via di uscita. Volevo solo tornare a casa. Ancora un urto, ancora un rumore di ferraglia e vetri rotti. “Dove sono?”.

Portai le mani al viso per coprirmi gli occhi anche se non potevano vedere niente in quell’oscurità, piansi e un urlo uscì dalla mia bocca “Mamma! Portami via! Vienimi a cercare! Voglio tornare indietro a casa mia!”

Una luce all’improvviso spaccò il buio e lo dissolse all’istante. “Eccoti! E’ tutto il giorno che ti cerchiamo!”

Non risposi, piansi e basta. La mamma nel suo abbraccio mi riaccompagnò verso casa. Durante il tragitto ripercorsi il mio viaggio all’indietro. Il capanno degli attrezzi, le bottiglie e gli utensili che avevo fatto cadere, l’auto di papà, la casetta degli uccelli davanti alla quale il nano da giardino mi aveva ospitato e poi ancora il laghetto con i pesci rossi e il mio trenino con il soldatino sopra.

Sono a casa, finalmente di ritorno.

“Non lo fare mai più, prometti, hai solo sei  anni, non puoi andare in giro da solo senza avvertire” mi ammonisce il mio papà. Poi mi abbraccia. Non rispondo. Vorrei dirgli che non posso prometterlo. Nonostante tutto, viaggerò ancora, in giro per il mondo io ci voglio tornare. Si, voglio tornare per ricominciare.

Luca

N.B.

Le frasi in corsivo sono estratte dalla canzone “Extraterrestre” di Eugenio Finardi.

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